Spero che le vostre vacanze siano andate bene, le miei abbastanza tranne qualche piccolo incidente di percorso (incidente nel vero senso della parola, ma non riguarda me nello specifico), e poi la ripresa dell'università.
In tutto ciò ho letto pochissimo. Che vergogna, ma prendere un libro richiede tempo e non sempre lo si ha, non sono cose da prendere e lasciare con leggerezza. In questa lunga assenza ho letto qualcosina ovviamente, tra cui un libro dedicato a Procida, l'isola dove abito. Scritto da un'isola è stata organizzata una piccola presentazione e io ho scritto un mio pensiero da dedicare all'autore.
Non è un romanzo, non è un saggio e non un libro di genere, ma mi piaceva l'idea di condividere con voi anche questo. Farvi conoscere un po' quell'isola dove sono cresciuta, che molto conoscono solo come luogo di villeggiatura, ma che per i procidani è altro e non solo questo.
Spero che vi piaccia. E chissà che forse vi incuriosisca e vi faccia venire a visitare Procida.
Per il resto proposito di Natale: scrivere di più!
Il Guizzo del Capodoglio - Un popolo nel mare
di Giulio Badalucci
Possiamo scegliere di leggere un libro per tante ragioni:
noia, voglia di conoscenza, voler passare qualche pomeriggio in compagnia di
personaggi inventati. Alla fine della lettura avremo occupato il nostro tempo,
avremo passato dei pomeriggi piacevoli e riporremo il nostro libro, forse senza
neanche ricordare perché l’avevamo iniziato. Ritengo che però iniziare a leggere
un libro per ricordare sia forse la scelta migliore, per poter assaporare
attraverso la lettura quello che purtroppo è scomparso dalla nostra vista ma è
vivo nei racconti dei più anziani, e alla fine di quella lettura sono sicuro
che non vorremo riporre il libro, perché non vorremo smettere di ricordare,
vorremo occupare tutti i nostri pomeriggi alla ricerca di quella memoria
perduta o dimenticata e riempire il vuoto causato dal tempo maligno.
Diceva Cicerone, uno dei più grandi oratori dell’Antichità
che “la memoria è tesoro e custode di tutte le cose”, ecco perché da quando l’uomo ne ha compreso
l’importanza ha sempre cercato un modo di mantenere vivo il ricordo. Prima
della nascita della scrittura, era la parola l’unica arte che l’uomo aveva a
disposizione, per questo ci si sedeva intorno al fuoco ad ascoltare affascinati
i più anziani, cercando di carpire la saggezza e l’esperienza nascosta tra i
fili bianchi dei loro capelli o nei meandri della loro mente.
Anche se ora il progresso ci allontana da tutto ciò, è lì
che l’uomo tenta o dovrebbe tentare di ritornare, a quel unica e reale forma di
magia che l’umanità possiede: la memoria.
Nel corso della storia, quando qualcosa è importante e
vogliamo mantenerla intatta ci affidiamo all’esperienza, contiamo sull’appoggio
dei più anziani affinché l’antica arte del mondo non vada persa. Accade per tante cose ed è così anche per la
pesca, arte antica che a Procida viene tramandata intatta per mantenere viva
un’identità unica e personale . Perché vi sono cose per le quali non esistono
regole scritte, non vi è un libro dell’istruzioni da leggere, tutto viene
affidato alla voce di un anziano la cui “fronte
è come un libro sempre aperto consumato dal sale e al vento, dove è possibile
leggere gioia e tristezza solo in mare, poiché tutto viene abilmente nascosto
tra le rughe” per citare Giulio Badalucci.
I procidani sono quel popolo nel mare, che vive delle sue
tradizioni, a volte presenti a volte scomparse, ma che sono vive nel ricordo di
chi le ha vissute: e quale voce migliore e più sincera di quella di un bambino
per ricordare le tradizioni di un tempo? Giuliareddo è il più piccolo di una
grande famiglia in quanto i genitori, con
l’aiuto del padreterno, l’avevano concepito dopo sette fratelli: tre femmine e
quattro maschi, che vivevano tutti nella stessa casa. “Giuliareddo” non è
altro che un bambino come molti, vivace, avventuroso e ricco in amicizia e amore,
ma ciò che ha sempre contato per lui è la famiglia e la tradizione. Giularieddo
è bambino e adulto, dotato di una saggezza infantile intrinseca, e conosce la
vera importanza della memoria, dell’ascolto del più grande che tramanda al più
piccolo ciò che la vita gli ha insegnato.
Attraverso gli occhi di Giuliareddo corriamo febbrilmente
per tutta la Chiaiolella, fermandoci di tanto in tanto ad ascoltare qualche
anziano pescatore o vecchia signora che la prima domanda che ti pone è “A chi
si figghie?”, perché nulla conta più della famiglia e del senso di
appartenenza, e Giuliareddo questo lo sa e con il tempo si accorge anche di come
la memoria e la tradizione appaiano simili a delle chimere e stiano lentamente
scomparendo e allora vorrebbe urlare che “No non possono scomparire” e allora
continua a portarci con sé alla scoperta della Marina della Chiaiolella, un
posto magico donato dagli dei, una conchiglia con al suo interno una perla,
protetta da tutti venti, tranne quello caldo dello scirocco.
Questa lunga corsa non è solo però un elogio al passato e
alla tradizione, ma anche e soprattutto una critica aperta a fatti e azioni che
hanno danneggiato Procida e la sua arte piscatoria, la sua terra e il suo mare.
Non si risparmia niente e attacca voracemente tutto ciò che sta divorando la
terra che con un forte senso di possessività ogni procidano sente propria.
Giulio Badalucci sfrutta il registro della favola e della
meraviglia per insegnare e tramandare qualcosa, ed ecco che i pezzi di sughero
parlano e tentano di irretire l’anima di una bambina, o una spigola, che
ricorda il rombo della fiaba dei fratelli Grimm, “sale dal mare”, non per
esaudire un desiderio ma perché non vuole più vivere in quel mare di cui ha
dimenticato il sapore e l’odore. Ci sembrerà allora che un campo di fiori possa
parlare, urlando al mondo le proprie virtù e i propri sacrifici, ma soprattutto
facendo risaltare una morale che spesso fingiamo di non vedere, di come spesso
in virtù di un progresso indicato come necessario lasciamo che il polpo di
Alisandro prosciughi la sua bellezza naturale. La realtà a volte si mescola con
la superstizione e il magico, ma non vi
è niente di inventato e tutto è reale, tutto vero e vissuto attraverso gli
occhi di un bambino, che sono l’unica strada per il meraviglioso.
Ciò che però Giuliareddo sembra dirci in ogni modo è che la
meraviglia che egli vedeva in ogni cosa, quasi come una divina presenza che
riempiva la natura del luogo dove era nato, sta morendo sotto lo sguardo ignaro
o indifferente di chi assiste. Una morale c’è sempre alla fine di una storia,
questo è quello che credo.
E alla fine possiamo sempre decidere di correre con
Giuliareddo, lungo le strade della Chiaiolella, nel tentativo di ripristinare o
almeno salvaguardare la terra e il mare che appartiene a “Un popolo nel mare”.
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